Sfida migratoria e imprese sociali tra ambiguità e innovazione

13 Aprile 2016

Euricse Facts&Comments

Giulia Galera

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La crisi migratoria ha innescato un cortocircuito d’idee, progetti e iniziative che hanno creato profonde divisioni nella popolazione e hanno spinto molte organizzazioni del Terzo Settore ad espandere il proprio raggio di azione nel settore dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti protezione internazionale. Numerose associazioni e cooperative sociali si sono attivate per sperimentare, in collaborazione con le comunità ospitanti, percorsi innovativi di accoglienza e inclusione attenti alle ricadute sulla comunità. Tuttavia, i meccanismi di selezione degli enti affidatari hanno anche contribuito ad alimentare un vero e proprio “business dell’accoglienza”, che ha consentito a molte imprese sociali, interessate principalmente ad aumentare il fatturato, di improvvisarsi in questo nuovo settore di attività senza dotarsi di lavoratori formati allo scopo. La possibilità di trarre significativi profitti  ha anche favorito la costituzione di cooperative sociali ad hoc, di dubbia competenza e prive di esperienza.

Alla luce dell’entità e dell’irreversibilità del fenomeno migratorio, una riflessione sulle politiche e sui modelli di gestione dell’accoglienza è diventata imprescindibile e offre l’occasione per analizzare più da vicino i processi evolutivi delle imprese sociali, che negli ultimi vent’anni si sono fortemente differenziate al loro interno a seguito della loro maggiore o minore integrazione nel sistema di welfare. Se da un lato vi sono imprese sociali che, avendo mantenuto i legami con la società civile, riescono tuttora a cogliere e rispondere efficacemente ai nuovi bisogni sociali, dall’altra ve ne sono altrettante che hanno perso il contatto con la comunità, sono soggette a sempre più pesanti pressioni isomorfistiche e che talvolta assumono comportamenti opportunistici.

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Nonostante il panorama dell’accoglienza sia alquanto composito, i media hanno fino ad oggi dato risalto soprattutto ai centri di grandi dimensioni, sia pubblici [1], sia privati, che concentrano un numero rilevante di ospiti in un unico luogo. I Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) rappresentano a questo riguardo il modello di accoglienza ordinaria prevalente: sono gestiti da cooperative sociali, associazioni o strutture alberghiere in convenzione con le prefetture secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici e, in virtù del loro carattere straordinario, presupporrebbero una permanenza limitata dei beneficiari, che sono spesso ospitati in aree e edifici dismessi lontano dai centri abitati per ridurre al minimo le interazioni con il territorio.

Poco risalto è stato dato all’accoglienza diffusa e micro, che è promossa da un numero crescente di cooperative sociali, associazioni e anche da privati cittadini nell’ottica, viceversa, di favorire l’inserimento dei nuovi arrivati nel tessuto locale.

L’articolo si propone di fare chiarezza su quali siano i modelli di gestione e finanziamento più efficaci nel preparare le comunità ad accogliere, facilitare l’inclusione sociale dei migranti e trasformare la sfida migratoria in risorsa e opportunità di sviluppo per la comunità. L’analisi proposta vuole altresì fare luce sui modelli che sono viceversa inclini a generare comportamenti opportunistici, aggravando situazioni di vulnerabilità preesistenti, mettendo così a rischio l’integrazione e dando luogo a situazioni al margine della legalità. Nello specifico, un’analisi strutturata è necessaria per comprendere se e a quali condizioni l’impresa sociale possa farsi portatrice d’istanze di giustizia sociale a tutela dei migranti ed essere, quindi, riconosciuta quale testimone di un’Europa diventata ormai indifferente al loro dramma.

Di seguito una breve riflessione sugli aspetti di criticità e forza che spiegano sia il successo di alcune iniziative d’impresa sociale nel facilitare l’inserimento sociale e lavorativo dei propri beneficiari, sia l’insuccesso o il limitato successo di altre.

Aspetti di criticità

Il grado di predisposizione delle comunità e la prevalenza o meno di una logica emergenziale sono alcuni degli aspetti di criticità che hanno fino a oggi condizionato le politiche e i modelli di gestione dell’accoglienza.

Di fronte alla crisi migratoria le comunità locali si trovano spesso impreparate e profondamente lacerate al loro interno tra favorevoli e contrari all’accoglienza. Ne deriva uno spaccato del paese, e spesso di singoli territori, a macchia di leopardo con tracce di solidarietà spontanea e manifestazioni di profonda ostilità disseminate in maniera disomogenea. Complice la paura alimentata dalla disinformazione, la stessa forza propulsiva che in alcuni casi sostiene interventi di accoglienza diffusa e integrata, è in altri casi strumentalizzata per affermare l’esclusivismo comunitario e la sua presunta incorruttibilità identitaria. Alcuni sondaggi recenti confermano drammaticamente quanto la paura governi l’opinione pubblica e la politica italiana, la cui propaganda contribuisce a coordinare catene di ostilità nelle comunità chiamate a fornire ospitalità ai richiedenti protezione internazionale.

Responsabile del rifiuto di molte comunità di ospitare richiedenti protezione internazionale non è tuttavia solo la fabbrica dell’odio messa in campo dai media e dai discorsi di alcuni leader politici. A rafforzare la convinzione secondo cui l’integrazione non sarebbe possibile, vi sono numerosi esempi di cattiva gestione dell’accoglienza, in qualche misura giustificati dal presunto stato di emergenza in cui ci troviamo. A monte vi è la scarsa e frammentaria conoscenza che le pubbliche amministrazioni chiamate a gestire il fenomeno hanno delle caratteristiche e delle potenzialità delle forme organizzate della società civile e in particolare delle cooperative sociali. Vi è inoltre la volontà di seguire la strada delle economie di scala con la creazione di centri popolati da un numero difficilmente gestibile di ospiti. Questi modelli di accoglienza low cost appaiono incapaci di contrastare i rischi di esclusione e devianza sociale e procrastinano quello che dovrebbe essere un obiettivo imprescindibile: l’inclusione sociale dei migranti.

Cavalcando la logica emergenziale, le organizzazioni che fanno dell’accoglienza un business remunerativo limitano i propri interventi all’offerta di servizi essenziali, spesso di scarsa qualità, ignorando la dimensione relazionale e di empowerment dei propri beneficiari. Si tratta nella maggioranza dei casi di cooperative sociali nate ad hoc per fornire esclusivamente soluzioni abitative, che spesso non sono radicate sul territorio e si disinteressano delle ricadute dell’accoglienza. A favorire la diffusione di un modello di accoglienza emergenziale contribuiscono gli stessi meccanismi selettivi degli enti affidatari predisposti dalle prefetture. Limitando i servizi offerti a vitto, alloggio e assistenza legale e disinteressandosi dell’impatto degli interventi sul territorio, essi non solo non premiano, ma spesso ostacolano il lavoro di rete necessario a facilitare i processi d’integrazione, processi che, comportando costi aggiuntivi, finiscono per mettere fuori gioco chi fa vera integrazione. Di conseguenza rimane esclusa quella che dovrebbe essere una conditio sine qua non: la promozione da parte degli enti affidatari di una cultura della solidarietà e dell’accoglienza che sia in grado di costruire ponti tra gli abitanti locali e i nuovi arrivati.

Dalla mobilitazione informale alla solidarietà organizzata

Gli esempi di mala accoglienza hanno purtroppo finito per mettere in ombra le innumerevoli iniziative virtuose di solidarietà. Attivate da singoli e gruppi, attraverso la costituzione di nuove organizzazioni o l’impegno di un numero crescente di volontari nelle tante associazioni e imprese sociali attive da anni nel settore della marginalità, queste iniziative hanno saputo ricalibrare adeguatamente il loro intervento alla luce delle nuove criticità emerse. Quella a favore dei migranti è un’inedita forma di volontariato: è al contempo intergenerazionale, trasversale rispetto alle professionalità e connotata da una forte valenza etica e politica, essendo finalizzata a riaffermare i diritti fondamentali dei migranti, ingiustamente negati e ignorati.

Il contributo del volontariato è, infatti, fondamentale nel facilitare l’inclusione e rafforzare la coesione sociale a livello comunitario: alcuni compiti assunti dai volontari riguardano elementi relazionali che sono essenziali nel processo d’inserimento dei nuovi arrivati e che difficilmente potrebbero essere adempiuti dalle agenzie pubbliche. Creando massa critica tra persone favorevoli all’accoglienza e accompagnando le comunità locali in percorsi di conoscenza delle altre culture, i volontari svolgono un’importante azione di advocacy, in grado di invertire, almeno in alcuni casi, l’iniziale ostilità della popolazione nei confronti dei migranti.

Traghettando la straordinaria mobilitazione dal basso manifestatasi in tutta Europa, a Lampedusa, Lesbo, Atene, Idomeni, Calais, così come a Roma, Milano e Bolzano, a seguito dell’offerta di servizi e beni di prima necessità, volta a colmare le falle di un sistema di accoglienza istituzionale carente, molti gruppi spontanei di volontari hanno assunto conformazioni più formalizzate, sperimentando modelli di gestione territoriale inclusivi e partecipati. I modelli più innovativi si caratterizzano per la partecipazione di una pluralità di attori in rappresentanza delle diverse espressioni della società civile – associazioni, parrocchie, gruppi di volontari, cooperative sociali – e dell’ente locale, che congiuntamente si adoperano per individuare soluzioni non solo abitative ma capaci di elaborare anche percorsi d’integrazione in ambito educativo, sociale e lavorativo. Molte di queste iniziative rientrano nel circuito SPRAR (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) istituito per garantire interventi di “accoglienza integrata” che superino la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. Il sistema SPRAR assegna un ruolo chiave ad associazioni e cooperative sociali che operano nel settore dell’accoglienza e dell’inserimento lavorativo di migranti e richiedenti protezione internazionale e, benché squilibrato territorialmente e difficilmente sostenibile con grandi numeri di ospiti, rappresenta un modello di accoglienza con grandi potenzialità. Tale sistema è potenzialmente in grado di coinvolgere un elevato numero di organizzazioni, ma, purtroppo,  appare destinato almeno per ora ad accogliere soltanto una minima parte dei soggetti ai quali esso teoricamente si rivolge.

 

I percorsi verso l’autonomia: il ruolo dell’impresa sociale

Il percorso dei rifugiati e richiedenti protezione internazionale verso il raggiungimento dell’autonomia presuppone che essi s’inseriscano nel mondo del lavoro. Molte cooperative sociali si sono attrezzate a questo scopo attivando percorsi di formazione professionale e in alcuni casi anche iniziative imprenditoriali in cui i migranti hanno trovato occupazione.

Convento 2016

Un esempio virtuoso è offerto dalla cooperativa sociale Cadore che, occupandosi di manutenzione ambientale e “turismo di comunità” nell’ambito del circuito Le Mat, da anni si adopera per inventare una nuova economia in un territorio storicamente marginale e soggetto a un processo di deindustrializzazione con effetti drammatici sull’occupazione locale. In risposta all’arrivo di richiedenti protezione internazionale sul territorio bellunese, la cooperativa è passata dall’accoglienza di “viaggiatori” a quella di rifugiati, sperimentando un progetto di ospitalità diffusa che pone particolare attenzione alla formazione e all’inclusione sociale dei propri ospiti. Nonostante non disponga di molti mezzi, grazie alla sua capacità di fare rete con la Caritas locale, singoli volontari e il centro scolastico, la cooperativa ha impostato l’attività di accoglienza nell’ottica di offrire alle persone ospitate alcune prospettive. A questo scopo, la cooperativa si attiva per facilitare il loro inserimento nel tessuto locale ed elaborare percorsi volti a “creare lavoro” attraverso progetti di autoimprenditorialità anche in forma associata. La cooperativa ha attualmente in carico 35 richiedenti protezione internazionale nelle comunità in cui opera (Pieve, Perarolo, Domegge e Vallesina) di cui il nucleo più folto è ospitato nell’ex Convento del Santuario del Cristo, messo a disposizione della cooperativa dalla diocesi dove, nonostante il numero tutt’altro che esiguo di ospiti, non si è mai verificato alcun incidente.

535268_1354779021214272_2905404209295465292_nAnche la cooperativa sociale K-pax di Breno in Val Camonica, nata nel 2008 da una sfida di un gruppo di operatori con esperienze di volontariato e ospiti di prima e seconda accoglienza, è riuscita nell’intento di realizzare un sistema di accoglienza diffusa in un contesto politicamente poco favorevole, qual è quello camuno. Come nel caso del Cadore, il sistema operativo proposto da K-pax si contrappone a quello dominante, volto a concentrare molte persone in un solo luogo, e propone un’integrazione graduale al di fuori di un contesto emergenziale attraverso la diffusione delle residenze dei rifugiati in appartamenti che accolgono quattro o cinque persone. La cooperativa, che da due anni opera anche nell’ambito del circuito SPRAR di Brescia applicandovi la logica della micro-accoglienza nei quartieri, attualmente ospita circa 124 persone. Attraverso questo modello i nuovi ospiti riescono a relazionarsi con maggiore facilità con gli abitanti locali, che a loro volta si sentono meno minacciati. La cooperativa K-pax non si è fermata però alla sola accoglienza. Nel 2013 ha rilevato la gestione dell’Hotel Giardino, l’unico albergo in funzione a Breno, che si trovava in stato di decadenza. Il processo di riqualificazione e valorizzazione della struttura alberghiera ha consentito di garantire un’occupazione stabile a quattro migranti precedentemente accolti dalla cooperativa, riconosciuti come titolari di diversi gradi di protezione. Aspetto da non trascurare è che due di loro appartengono alla categoria di estrema vulnerabilità psicologica o psichiatrica. L’impatto dell’hotel sull’economia di tutto il territorio camuno è altrettanto significativo grazie all’aumento di presenze turistiche che garantisce e alle realtà locali che valorizza attraverso la promozione di attività artigianali e artistiche. Grazie alla particolare attenzione posta all’impatto ecologico-ambientale attraverso la ricca offerta di prodotti biologici a km zero, l’hotel ha altresì ottenuto la certificazione Certiquality rilasciata dalla piattaforma EcoWorldHotel.

1930348_1665057017090327_7384873814888464492_nE’ utile richiamare un altro progetto imprenditoriale, in cui la cucina è la chiave per l’integrazione sociale e interculturale, che ha dato vita ad un ristorante innovativo: 11Eleven Scenario Pubblico. A gestire il ristorante è una cooperativa sociale di tipo B volta a promuovere integrazione lavorativa e sociale di migranti e soggetti svantaggiati. L’impresa poggia sull’idea di creare un ristorante del non spreco (di qui 11: il comandamento dei nostri tempi, non sprecare) attraverso l’integrazione sociale e l’innovazione culinaria tra sapori siciliani e sapori di altre culture. Il motto è: “non sprecare-cibo, talenti, opportunità, vite”. La cooperativa sociale è stata fondata da una volontaria con alle spalle un percorso ultradecennale come funzionaria delle Nazioni Unite e da due lavoratori, di cui uno dotato di know how specifico nel settore della ristorazione, ed è contraddistinta da una base sociale eterogenea, che ha facilitato l’attivazione di una molteplicità di risorse umane e finanziare. Lo start up della cooperativa è stato auto-finanziato grazie agli apporti dei soci che da tre sono passati a undici nel giro di dodici mesi. La cooperativa sociale si distingue per la sua capacità di fare rete con numerose organizzazioni del Terzo Settore che operano nel settore dell’accoglienza diffusa, dell’assistenza a soggetti deboli e della cooperazione allo sviluppo, a livello sia locale che nazionale e internazionale, tra cui OXFAM che ha recentemente finanziato un progetto pilota di Scuola – Laboratorio di cucina interculturale etnica e fusion, finalizzato a formare e avviare al lavoro giovani migranti. Al suo interno, oltre al coordinatore, attraverso programmi di tirocinio e formazione, lavorano stabilmente sei ragazzi, di cui uno inserito quando era ancora minorenne come titolare di protezione umanitaria, e sono coinvolti tre volontari. La cooperativa pone particolare attenzione all’accompagnamento e alla formazione di giovani, in particolare migranti, con bassi livelli di scolarizzazione, sperimentando percorsi formativi on-the-job.

Conclusioni

Da un’osservazione preliminare e dall’analisi dei tre casi studio selezionati emerge una forte divaricazione tra le imprese sociali autentiche, interessate, come prevede la legge istitutiva della cooperazione sociale a facilitare l’inclusione sociale e lavorativa di rifugiati e richiedenti protezione internazionale e quelle nate esclusivamente per sfruttare appieno il business dell’accoglienza. Le prime hanno forti legami con la comunità, sono contraddistinte da una spiccata propensione all’imprenditorialità che vede coinvolti gli stessi beneficiari nel loro percorso verso l’autonomia, e sono molto innovative. Questo grazie agli investimenti sostenuti in formazione e supervisione dei propri operatori, che garantiscono una maggiore qualità dei servizi, e alla co-progettazione di percorsi d’inclusione insieme alle comunità ospitanti. Le seconde non sono radicate a livello comunitario, hanno un impatto discutibile sul territorio e, mandando spesso i propri operatori sul campo allo sbaraglio, offrono servizi di scarsa qualità. Ciò nonostante, queste ultime continuano a essere preferite dalle prefetture e a vincere le gare, ottenendo generosi guadagni grazie al numero significativo di persone ospitate.  Cambiare direzione è necessario e possibile e a questo proposito appare chiaro il ruolo della pubblica amministrazione, che dovrebbe mettere in discussione le proprie priorità e le proprie procedure. Ciò potrebbe accadere a partire dalle modalità di coinvolgimento degli enti gestori, non necessariamente eliminando i confronti competitivi, ma modificando le regole che sovraintendono la decisione. Un buon punto di partenza sarebbe quello, in sede di valutazione delle offerte, di tenere conto dell’esperienza maturata nella gestione dell’accoglienza e dell’inserimento lavorativo di persone in difficoltà e della maggiore capacità d’integrazione che le organizzazioni sono in grado di offrire attraverso l’impiego di personale volontario.

 

 

[1] Tra i centri istituzionali rientrano i seguenti: Centri di Prima Accoglienza (Cpsa), Centri di Accoglienza (Cda), Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (Cara), e i Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), questi ultimi ritenuti da più parti responsabili di numerose violazioni dei diritti umani. Per un resoconto recente si vedano: il Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione della Commissione diritti umani del Senato presentato a Roma il 21 febbraio 2016, il rapporto “Accogliere: la vera emergenza” curato dalla campagna LasciateCiEntrare e infine il rapporto ad opera di Cittadinanzattiva e Libera dal titolo “InCaStrati”.

 

 

Riferimenti bibliografici dei tre casi studio:

Cooperativa Sociale Cadore:

  • Il Gazzettino, Bolzonello, G, Quattordici Profughi nell’Ex Convento si dedicano al verde, 19 settembre 2015
  • Corriere delle Alpi, Damos Strada pulita dai rifugiati, 15 settembre 2015.
  • Corriere delle Alpi, Nelle varie sedi 36 richiedenti asilo, 6 marzo 2015.

Cooperativa Sociale K-pax

  • Intervista a Carlo Cominelli e Silvia Turelli in data 25/11/2016.
  • Intervista a Paolo Erba, Sindaco di Malegno in data 25/11/2016.
  • Intervento di Paolo Erba al Workshop “Migranti in Europa”, promosso da Avanzi, Spazio Ex-Ansaldo Milano, 8 novembre 2015.
  • Italia che cambia, Intervista a Carlo Cominelli, presidente della cooperativa sociale K-pax, in data 3 febbraio 2016.

Cooperativa Sociale 11Eleven:

 

Desidero ringraziare per i consigli e suggerimenti: Carlo Borzaga, Veronica Cortinovis, Barbara Franchini e Michela Giovannini. Un sentito ringraziamento anche a Carlo Cominelli della cooperativa sociale K-pax, Renate Goergen dell’Agenzia di Sviluppo Le Mat e Barbara Sidoti della cooperativa sociale 11Eleven.

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