Nuove economie, nuove società. Riscoprire Ostrom per un’alternativa possibile

28 Febbraio 2019

Borzaga alla Fondazione Feltrinelli. “La cooperazione dev’essere vista come meccanismo di coordinamento”

Tutto sommato, nella presentazione dell’evento già si ponevano temi e domande che hanno animato l’intera serata, l’ultima del ciclo “There is (NO) alternative” ideato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. “Nel sottobosco del mondo globalizzato fioriscono esperienze di economie cooperative, improntate alla condivisione e alla solidarietà, che fanno da argine alle insostenibilità del sistema globale. Queste nuove economie possono davvero essere alternative?”. Ancora: economia cooperativa, movimenti sociali e solidarietà possono rivelarsi argine all’insostenibilità di oggi? A rispondere, Carlo Borzaga, presidente di Euricse, e Bruno Frère, docente all’Università di Liegi. Due angolature diverse, eppure una conclusione assonante. Ovvero che un’alternativa al neoliberismo è praticabile. “A patto che ci si spogli delle teorie classiche della letteratura mainstream, incapaci di interpretare l’opportunità dell’economia cooperativa”, ha detto Borzaga citando il pensiero che è valso il Nobel a Elinor Ostrom. “La cooperazione – ha spiegato – dev’essere letta come meccanismo di coordinamento, alternativo sia allo Stato sia al mercato”.


Tutto è nuovo eppure non tutto lo è davvero. “L’idea che le imprese cooperative, e più in generale le imprese che non hanno ad obiettivo il profitto, possano rappresentare una alternativa più o meno radicale all’impresa capitalistica e più in generale al capitalismo ha segnato – pur tra alti e bassi – lo sviluppo dell’economia di mercato e il pensiero economico fin dall’inizio della rivoluzione industriale – ha esordito Borzaga – Nonostante questa prospettiva non si sia fino a oggi concretizzata, l’idea di sostituire le imprese in cui il capitale comanda il lavoro, con imprese in cui è il lavoro a comandare il capitale ha attratto sia grandi economisti, da Marshall a Meade, sia molti uomini d’azione”.
Un pensiero che ha solleticato l’attenzione con intermittenza e scarsa costanza. “Proprio durante gli anni in cui prevaleva il pensiero neoliberista e l’interesse per possibili alternative risultava particolarmente debole – ha aggiunto Borzaga – nella realtà si stava verificando una ripresa delle forme cooperative, spesso in settori diversi da quelli tradizionali, e una diffusione di comportamenti economici di tipo cooperativo che si sono tradotti sia nell’emergere di nuove forme organizzative e imprenditoriali centrate sulla soluzione di problematiche sociali, come le imprese sociali, che in una maggiore attenzione delle imprese in generale alle conseguenze sociali della loro attività”.
Dinnanzi a una presenza ineludibile, la miccia dell’interesse accademico si è riaccesa. “Con qualche ritardo ha iniziato a crescere anche l’attenzione dei ricercatori per queste dinamiche – ha spiegato il docente – senza tuttavia che, fino a ora, sia stata proposta un’interpretazione unitaria della molteplicità dei fenomeni, unica condizione per capire se essi possano costituire una reale alternativa a un sistema i cui esiti sono sempre più chiaramente insoddisfacenti”. L’attenzione ha però una duplice valenza, a tratti ambivalente. La vivacità in cui si osserva tali fenomeni in exploit, si riversa in un bisogno quasi tassonomico di trovare definizioni didascaliche. “Si sta assistendo così ad una moltiplicazione dei termini – economia sociale, economia solidale, cooperative capitalism, cooperative economy, co-economy, sharing economy, economia collaborativa, collaborative enterprise, ecc. – mentre rimane debole la ricerca dell’esistenza di un filo conduttore comune”, ha spiegato il presidente di Euricse, citando i rischi di una frammentazione diffusa. “Il pericolo è quello di creare fenomeni di nicchia”, dunque meno incisivi.
“Nella convinzione che questa ricerca di un tratto unificante non sia solo auspicabile ma anche possibile, è utile partire da una quantificazione di tutti i fenomeni e le esperienze che, nonostante le diversità, possono essere ricondotti sotto un denominatore comune; quindi avanzare una prima proposta che individui e dia un nome a questo denominatore”, ha rimarcato ancora. In altri termini: ricostruire dimensioni e entità del fenomeno, comprenderlo ed estrarne l’essenza comune (anziché le peculiarità che ne diversificano le componenti). “In questo modo – ha aggiunto – andranno quantificate così sia le imprese e le organizzazioni che basano la loro attività su logiche diverse dal profitto, sia le persone coinvolte nelle loro attività”. Obiettivo: analizzarne le dinamiche emergenti.
Il secondo passaggio è quello che richiede lo sforzo (persino culturale) maggiore, superando schemi desueti e non più adatti alla lettura del presente: “Seguendo l’approccio di E. Ostrom è tempo di prendere a denominatore comune alle diverse esperienze il “meccanismo cooperativo”, inteso non nelle sue storiche attuazioni (le cooperative in particolare), ma come una delle modalità utilizzabili per coordinare persone e risorse alternativa sia al mercato, inteso come “scambio per il guadagno”, che allo Stato inteso come massima espressione del meccanismo dell’autorità”. Diversamente da quanto sostenuto dalla teoria mainstream – e in particolare dalle tesi neoliberiste secondo cui There is no alternative – “l’agire cooperativo non è limitato ad alcune tipologie imprenditoriali, ma costituisce un vero e proprio meccanismo di coordinamento” ha rimarcato a Milano Borzaga. Più d’una le prospettive in fieri, adottando questa nuova angolatura. Una su tutte: “La costruzione di un sistema alternativo – ha concluso Borzaga – basato su un nuovo equilibrio fra tre e non soli due meccanismi (Stato e mercato), quindi su un pluralismo di forme di impresa che liberi le potenzialità di comportamenti incentrati non sulla ricerca del profitto, ma sulla rilevanza del lavoro, sulla soluzione dei bisogni delle persone e delle comunità anziché sul mero accumulo di ricchezza”.

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