Mafia, i beni confiscati diventano capitale sociale puro

4 Marzo 2021

La gestione per fini sociali dei beni confiscati alla criminalità organizzata può giocare un ruolo fondamentale nella lotta al fenomeno mafioso. La nostra collaboratrice Caterina De Benedictis ha firmato un articolo su questo tema ospitato dalla Rivista giuridica del Mezzogiorno pubblicata dall’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Il suo contributo ha come obiettivo la mappatura dei beni confiscati, nella convinzione che, per combattere efficacemente la mafia, sia indispensabile compiere azioni capaci di “riconvertire il ‘capitale sociale mafioso’ in ‘capitale sociale puro'” (Baldascino, Mosca, 2014).

Quali sono i dati principali che escono dalla mappatura?

I beni immobili confiscati alla criminalità organizzata sono 33.777, dei quali il 51% sono beni ancora in gestione e quindi amministrati dall’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati (ANBSC), mentre il 49% è rappresentato da beni destinati per un riutilizzo istituzionale o sociale. L’83% dei beni immobili destinati si trova nelle regioni del Mezzogiorno, mentre il 17% al Centro e al Nord. È interessante individuare le prime sei regioni che si contraddistinguono per incidenza maggiore di beni immobili. Se le prime tre posizioni  sono ricoperte dalle regioni meridionali note per le particolari caratteristiche e la lunga tradizione che contraddistingue la criminalità organizzata (cosa nostra siciliana, la camorra campana e la ‘ndrangheta calabrese), poco fuori dal podio si trovano la Lombardia e il Lazio, a testimonianza del fatto che il fenomeno della criminalità organizzata non può e non deve più essere pensato e – di conseguenza combattuto – come un fenomeno che interessa e colpisce le sole regioni meridionali. I beni immobili vengono prioritariamente destinati agli enti locali (81%) e, nello specifico ai Comuni, per finalità prevalentemente di carattere sociale e istituzionale. In particolare, su un ampio campione costituito da 5.490 beni immobili destinati, si osservi come il 13% (730) sia stato affidato – tramite bando indetto dall’ente locale preposto – a soggetti rappresentativi del Terzo settore, tra cui spiccano le fondazioni (50), i consorzi (85), le cooperative sociali (288) e le associazioni (307). Rilevante anche il numero di beni immobili destinati e assegnati al mondo cattolico (33), alle organizzazioni sportive (34), nonché soprattutto a coprire le implicazioni delle situazioni di emergenza abitativa (147). I beni aziendali in Italia, invece, sono 4.040, di cui solo il 33% è stato destinato definitivamente. La maggior parte di questi beni è sita nel Mezzogiorno, dove si trova il 79% dei beni aziendali già destinati    

In cosa consiste il riutilizzo per fini sociali dei beni confiscati alla criminalità organizzata e qual è il ruolo giocato dal Terzo settore nella riconversione del capitale sociale mafioso?

Il riutilizzo per fini sociali dei beni confiscati consiste nella destinazione dei beni agli enti locali (Comuni, Province, Regioni e Città metropolitane), i quali possono amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione – con apposita convenzione e a titolo gratuito – a soggetti particolarmente rappresentativi degli enti locali, aventi finalità pubbliche e sociali. Tra questi soggetti, individuati dall’art. 48 comma 3 del Codice Antimafia, rientrano in particolar modo gli enti del Terzo settore. Quale che sia l’uso che l’ente individuato alla destinazione del bene intende realizzare, appare indispensabile che lo scopo principale consista – e debba sempre consistere – nella restituzione alla collettività del bene sottratto alla criminalità organizzata. L’aumento del capitale sociale determinato dalla natura stessa delle organizzazioni dell’economia sociale permette – molto più che in altri casi – la rigenerazione dei livelli di fiducia interni alla comunità, da cui deriva un ulteriore aumento del capitale sociale, inteso come principale prerequisito per lo sviluppo non solo sociale ma anche economico di un territorio.

Perché il riutilizzo sociale dei beni confiscati è anche un’arma di lotta?

L’istituto della confisca, e successivamente della destinazione dei beni precedentemente posseduti e utilizzati dalla criminalità organizzata, assume forza e concretezza solo laddove il capitale sociale mafioso venga trasformato in capitale sociale puro. Affinché ciò avvenga, la comunità deve avere la possibilità di appropriarsi – non solo metaforicamente – del bene in questione, interrompendo e soprattutto invertendo il processo di legittimazione dell’azione della criminalità organizzata. Il riutilizzo sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata è un’opportunità fondamentale di sviluppo non solo sociale, ma anche economico. L’azione della criminalità organizzata, depauperando i territori della loro iniziale dotazione di capitale sociale puro, non solo determina l’aumento dei livelli di sfiducia tra i cittadini e tra essi e le istituzioni, ma influenza negativamente il comportamento delle imprese legali, generando una perdita d competitività dei territori.

Può citare dei casi virtuosi di coinvolgimento del Terzo settore in quest’ambito?

Per quanto riguarda il riutilizzo per fini sociali di beni immobili, estremamente rilevante è l’esperienza virtuosa del Progetto La RES – Rete di Economia Sociale, nato nel 2012. Si tratta di un’esperienza pionieristica di infrastrutturazione sociale, nata e sviluppatasi in Campania, nelle zone del casertano, avente come obiettivo principale lo sviluppo integrato del territorio, attraversa la messa in produzione e la valorizzazione dei beni confiscati alla camorra, affidati alle organizzazioni sociali del territorio. Capofila del progetto è l’APS Comitato don Peppe Diana. In relazione ai beni aziendali emerge il caso della Calcestruzzi Ericina Libera, convertita da impresa tradizionale a cooperativa successivamente alla confisca del bene aziendale, di proprietà della criminalità organizzata. La nuova cooperativa, dopo aver interamente rinnovato le strutture per la produzione del calcestruzzo, ha realizzato un impianto di riciclaggio di inerti «tecnologicamente all’avanguardia». I materiali inerti, che in assenza di tale impianto sarebbero stati gettati in discarica o addirittura liberati nell’ambiente circostante, come spesso accade, vengono recuperati e trasformati in risorsa.

x