La cooperazione italiana negli anni della crisi

9 Febbraio 2014

Secondo rapporto Euricse – sintesi di Carlo Borzaga

Con il perdurare della crisi diventa sempre più evidente che, per individuare le strategie in grado di rimettere l’Italia su un sentiero di crescita della produzione e dell’occupazione, è necessario valutare attentamente il contributo che può venire da ogni settore, da ogni istituzione pubblica e privata, e dalle diverse forme di impresa, comprese le cooperative e le imprese sociali. Le recenti rilevazioni censuarie dell’Istat hanno registrato per il decennio 2001-2011 una dinamica diversificata delle forme di impresa, con una crescita delle imprese cooperative e, più in generale, delle organizzazioni senza scopo di lucro, a tassi superiori rispetto a quelli delle imprese di altro tipo sia private che pubbliche. Di conseguenza una conoscenza approfondita della diffusione e delle caratteristiche delle cooperative non può più essere considerata come di esclusivo interesse di un numero ristretto di studiosi o delle sole organizzazioni di rappresentanza del movimento cooperativo, ma assume una valenza più generale e giustifica un rinnovato impegno di ricerca.
A questa esigenza, di conoscere più e meglio la cooperazione italiana, vuole dare un contributo il rapporto La cooperazione italiana negli anni della crisi realizzato da Euricse nel corso del 2013.

Il rapporto raccoglie una serie di lavori realizzati, sia prima che dopo la crisi iniziata nel 2008, da ricercatori che in questi anni hanno collaborato in vario modo con Euricse. Obiettivo del rapporto è quantificare la rilevanza economica della cooperazione nell’economia italiana e analizzarne l’evoluzione a partire dal 2008, per meglio comprendere come le cooperative si siamo evolute prima e abbiano quindi reagito alla crisi e, dove possibile, per individuare le diversità rispetto alle altre forme di impresa.

La rilevanza complessiva della cooperazione

Il primo risultato di rilievo del rapporto è costituito da una quantificazione piuttosto precisa sia del contributo diretto delle cooperative italiane al prodotto interno lordo e all’occupazione, che dell’impatto complessivo dell’attività dell’insieme delle cooperative sull’economia italiana.

Unendo tutte le varie fonti disponibili (tra cui anche il 9° Censimento dell’Industria e dei Servizi di cui si conoscono i primi risultati) si possono quantificare le cooperative italiane certamente attive in un numero compreso tra le 55 e le 60mila. Le cooperative, unitamente ai loro consorzi, hanno generato a fine 2011 un valore aggregato della produzione superiore ai 120 miliardi e hanno investito oltre 114 milioni di euro (escluse le cooperative che operano nel settore del credito e delle assicurazioni e le società di capitali controllate da cooperative). A fine 2011 le cooperative occupavano, a seconda delle fonti, una cifra compresa tra 1.200.000 e 1.300.000 addetti. Se si considerano tutte le posizioni lavorative attivate nel corso d’anno, compresi quindi i lavoratori stagionali, il numero sale a 1.750.000. Gran parte degli occupati (il 67% delle 1.750.000 posizioni lavorative registrate nel 2011, comprensive quindi anche degli stagionali) risulta inoltre assunto a tempo indeterminato, mentre le forme di lavoro più atipiche – in particolare quelle del lavoro a progetto – risultano marginali e in tendenziale contrazione.

Le analisi condotte da Euricse, non limitate alla determinazione dell’impatto diretto del valore della produzione o del fatturato della cooperazione sull’economia italiana ma finalizzate, attraverso l’elaborazione del conto satellite, a ricostruirne l’impatto complessivo (diretto, indiretto e indotto), evidenziano come il contributo del settore cooperativo sia stato nel 2009 pari al 10% del Pil nazionale e all’11% dell’occupazione, con 143 miliardi di valore aggiunto e quasi 2.500.000 unità di lavoro (occupati equivalenti a tempo pieno). In altri termini, nel calcolo del conto satellite è stato incluso sia il peso della produzione delle cooperative, sia quello determinato dalla domanda di beni e servizi intermedi rivolta alle imprese non cooperative (effetto indiretto), sia infine quello indotto sulla domanda finale dai redditi distribuiti dalle cooperative a soci e dipendenti (effetto indotto).

Il secondo risultato dell’analisi aggregata mostra che la diffusione, e quindi la rilevanza delle cooperative, varia significativamente da settore a settore. La presenza cooperativa è rilevante soprattutto nel settore agricolo (dove il contributo al Pil e alle unità di lavoro sale ad oltre il 40%) e in alcuni comparti dei servizi, sia di natura più privata come il commercio e i trasporti, che di interesse pubblico come l’assistenza sociale e la sanità. Settore quest’ultimo in cui le cooperative sociali hanno generato nel corso del 2011 un valore della produzione pari a poco più di 7 miliardi e investito 5,5 miliardi di euro. Le cooperative ricoprono invece un ruolo marginale nel manifatturiero, con l’eccezione del settore delle industrie alimentari e delle bevande dove però operano soprattutto cooperative di imprenditori agricoli e non cooperative di lavoratori.
La forma cooperativa si conferma quindi particolarmente idonea o nei settori dove il lavoro è il fattore strategico o in quelli dove l’aggregazione tra produttori consente, al contempo, di sfruttare le economie di scala e di mantenere un’elevata flessibilità nei processi produttivi alla base della catena del valore.

Le cooperative nella crisi

L’analisi della recente dinamica del settore cooperativo in Italia segnala innanzitutto la crescita sostenuta del settore, già prima della crisi. Sia i dati censuari sia quelli del Registro delle imprese confermano che il numero di cooperative, il fatturato e gli occupati sono cresciuti con continuità già a partire dagli anni ’90 e, almeno a partire dal 2000, a tassi superiori a quelli delle imprese di diversa natura, sia private che pubbliche. Una dinamica che non è solo merito di alcuni settori, ma che ha interessato praticamente tutto il mondo cooperativo, sia pure con alcune punte di rilievo tra cui in particolare l’industria, soprattutto quella alimentare e delle bevande, e la cooperazione sociale.

Nel corso della crisi poi, soprattutto negli anni iniziali, la dinamica delle varie forme cooperative è stata decisamente diversa da quella delle altre imprese. Le analisi presentate confermano, in particolare quando si considerano le cooperative per le quali si dispone di informazioni certe per tutto il periodo 2008-2011, la funzione anticiclica delle cooperative. Nonostante la crisi, infatti, tutte le variabili di interesse hanno registrato tassi di variazione positivi, sia in generale che nella maggior parte dei settori. Nel complesso nel 2011 la produzione è aumentata dell’8,2% e gli investimenti del 10,6%. E’ aumentato anche il tasso di patrimonializzazione e la maggior parte delle cooperative hanno migliorato il proprio equilibrio economico-finanziario.

Positivo è stato anche l’andamento dell’occupazione, anche se le fonti statistiche disponibili segnalano tassi di variazione diversi. Secondo i dati elaboratori dal Censis (Censis, 2012) gli occupati in imprese cooperative sarebbero aumentati dell’8% tra il 2007 e il 2011. Stando ai dati INPS sulle posizioni lavorative attivate nel 2011 (comprensive quindi anche degli impieghi di durata inferiore all’anno) dalle cooperative già operative nel 2008 (escludendo quindi quelle nate successivamente) l’aumento rilevato dal Censis è derivato (come si vedrà più avanti) soprattutto dalle nuove cooperative vista la quasi stazionarietà degli occupati nelle cooperative già operative prima della crisi (+1,11%). Andamenti quindi in netto contrasto con la diminuzione di occupati registrata sia dall’insieme delle imprese che nel mercato del lavoro nel suo complesso.

L’analisi comparata con le altre forme imprenditoriali (srl e spa) permette inoltre di osservare che le cooperative sono quelle che hanno registrato la dinamica più positiva, in generale e nella maggior parte dei settori. Il confronto tra l’universo delle cooperative e delle società per azioni con almeno 500.000 euro di fatturato per il periodo 2006-2010 evidenzia infatti come nel complesso la dinamica del valore della produzione e dei redditi da lavoro delle cooperative si sia discostata in modo netto da quella delle spa sia in ogni singolo anno che nell’intero periodo. Tra il 2006 e il 2010 la crescita del valore aggiunto dell’insieme delle cooperative ha raggiunto il 25% contro il 7% delle spa, mentre quella dei redditi da lavoro è stata del 30% contro il 13% delle spa.

Questi diversi andamenti sono confermati in tutti i settori a forte presenza cooperativa. La scomposizione dei tassi di crescita tra le possibili determinanti (collocazione geografica, settore di attività, struttura proprietaria) ha confermato che le differenze riscontrate vanno quasi completamente imputate alla diversa natura proprietaria, e solo marginalmente agli altri fattori. A conferma del fatto che la funzione anticiclica delle cooperative è da attribuire soprattutto al loro essere imprese con obiettivi e strutture proprietarie che tendono a salvaguardare l’interesse dei soci in quanto portatori di un particolare bisogno, piuttosto che di capitale di rischio.

Ma dietro queste diverse performance c’è anche una generale solidità patrimoniale e livelli di efficienza non dissimili da quelli della altre forme di impresa. Dal confronto statistico tra tutte le cooperative, le società a responsabilità limitata e le società di capitali che avevano depositato il bilancio per il 2009, realizzato utilizzando indicatori non influenzati dai diversi obiettivi delle forme di impresa, risulta che le cooperative, contrariamente a quanto spesso sostenuto dagli economisti, presentano buoni livelli di patrimonializzazione (salvo che nel settore agricolo, dove buona parte degli investimenti sono necessariamente effettuati dai soci) e sono caratterizzate da indicatori economico-finanziari più equilibrati rispetto alle società di capitali. Risulta inoltre esservi una correlazione diretta e positiva tra propensione alla patrimonializzazione e performance economiche, da una parte, e intensità della partecipazione dei soci alla vita della cooperativa, dall’altra.

Il secondo rapporto Euricse “La cooperazione italiana negli anni della crisi” è disponibile in questa pagina

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