La cooperativa agricola, una comunità di senso. L’importanza del capitale sociale

22 Giugno 2017

Eddi Fontanari

 

È importante prendere atto che una cooperativa agricola è primariamente una comunità, un’organizzazione di senso, dotata di un collante valoriale e culturale, dunque di una sua identità

Quando si parla di cooperative agricole molto spesso ci si dimentica della loro vera natura. Capita anche che siano gli stessi dirigenti a non comprendere esattamente la loro natura e a favorire un processo di isomorfismo organizzativo. Nel momento in cui la cooperativa agricola viene infatti trattata (gestita) alla stregua di un’impresa convenzionale, il rischio è di minare le fondamenta della sua stessa esistenza. Ciò si verifica in particolare quando, non solo tra i practitioner ma anche tra gli studiosi, prevale una visione dell’impresa cooperativa incentrata troppo su schemi (ricette) mainstream di razionalità economica tout court. Ci si ritrova così sovente a decidere processi di fusione frutto più di queste ortodossie che di precise strategie ponderate, o comunque di piani aziendali capaci di tener conto di tutti i fattori rilevanti.

Nel caso specifico delle cooperative agricole, nell’affrontare e prendere questo tipo di decisioni bisognerebbe infatti essere innanzitutto consapevoli della natura, fotoEDDIe dunque delle caratteristiche, di questa forma organizzativa. Nella maggior parte dei casi, soprattutto se si guarda all’esperienza trentina, la cooperativa agricola rappresenta un’istituzione intermedia di regolazione sociale alla base di un sistema produttivo locale. E’ importante quindi capire e prendere atto che una cooperativa agricola è primariamente una comunità, un’organizzazione di senso, dotata di un collante valoriale e culturale, dunque di una sua identità. I processi di aggregazione della produzione/espansione dovrebbero tener conto di questo aspetto proprio per evitare di intaccare il capitale sociale (fiduciario) che lega i soci (contadini) alla cooperativa. Quando si parla di cooperative si è soliti infatti soffermarsi quasi esclusivamente sulle questioni legate alle modalità di reperimento del capitale finanziario e in particolare sui presunti problemi di finanziamento e sulla mancanza di incentivi all’investimento e dunque sui temi della crescita e d’efficienza della stessa. In realtà, anche se non trattato debitamente, risulta ancora più importante, ai fini della sopravvivenza della cooperativa, mantenere e promuovere un adeguato livello di capitale sociale (fiduciario).

L’aggregazione tra cooperative quale mezzo per aumentare la scala produttiva e dunque l’efficienza non è una soluzione sempre valida. A maggior ragione, se la base sociale risulta estremamente eterogenea, non solo dal punto di vista delle produzioni, ma anche per quanto riguarda le tradizioni e le culture specifiche dei territori delle differenti aree produttive.

I punti critici di cui i progetti di fusione devono tenere conto sono essenzialmente due: la condivisione di un progetto comune; la predisposizione delle condizioni per renderlo efficacemente (ed efficientemente) operativo.

In primo luogo, i soci devono essere sensibilizzati e (in)formati e convinti dei vantaggi (potenziali) derivanti dall’adesione ad una certa forma organizzativa. Ai soci va fatto comprendere, nello specifico, quali sono le condizioni (i comportamenti) che permettono a questi vantaggi di emergere e di essere potenziati. Con loro vanno condivise (soprattutto nei casi di elevata eterogeneità della base sociale, specialmente se culturale) le modalità, anche organizzative, che possono favorire lo sviluppo di un adeguato livello di capitale sociale (non nell’accezione monetaria), indispensabile per il rispetto delle regole di funzionamento dell’intero sistema produttivo (rete di rapporti).. Un sistema a rete di tipo cooperativo non può infatti funzionare se non attraverso il raggiungimento di un allineamento delle singole operazioni (azioni) verso un obiettivo comune. L’assenza di queste condizioni depotenzia i benefici derivanti dall’aggregazione della produzione. Alla sua base deve esserci perciò un progetto chiaro, accettato e condiviso dai soci confluenti. La sequenza da rispettare, quindi, prevede prima la condivisione e poi l’aggregazione. In questo caso non vale infatti la proprietà commutativa: invertendo l’ordine dei fattori si rischia di pregiudicare ex post la sopravvivenza dell’organizzazione. Questo tipo di impostazione serve in particolare per minimizzare gli effetti negativi dell’intervento di variabili esogene sul sistema produttivo (avversità meteorologiche, infestazioni, ecc.). In presenza di una buona dotazione di capitale fiduciario e di coesione interna alla base sociale, la comunione d’intenti permette di affrontare più efficacemente anche le criticità.bloom-1866760_1920

In secondo luogo, va sottolineato che le condizioni appena enucleate si possono facilmente disperdere e che le ripercussioni negative di eventi non controllabili possono amplificarsi se il sistema non dispone con certezza (e non è il frutto) di adeguate competenze manageriali. L’attività a valle della catena produttiva, raggiunte certe dimensioni, e dati pure i livelli crescenti di complessità di molti mercati agricoli  e di articolazione dei servizi richiesti, necessita infatti di un’organizzazione efficiente e di una gestione oculata delle risorse. Quest’ultimo aspetto non è meno importante del primo (coesione e condivisione di un progetto comune) ed insieme formano il collante che serve a sorreggere e a sviluppare i benefici insiti nell’azione collettiva (cooperativa agricola) a vantaggio dell’intero sistema produttivo locale e dunque degli attori e del territorio coinvolti.

La valutazione delle strategie di sviluppo imprenditoriale della cooperativa agricola dovrebbe quindi innanzitutto prestare attenzione al mantenimento di un assetto istituzionale[1] equilibrato, che tenga conto, non tanto, o non solo, dei vantaggi derivanti dalle dimensioni dell’impresa, ma anche della corretta applicazione dei valori e dei principi alla base della cooperazione. Solo il coinvolgimento e la valorizzazione dei soci possono consentire la massimizzazione dei benefici garantiti da questo modello organizzativo, nonché delle probabilità della sua stessa sopravvivenza.

[1] L’espressione di un insieme di regole condivise dai contadini-soci funzionale alla creazione di beni pubblici o quasi-pubblici per l’intero sistema produttivo locale (in particolare per le aziende agricole).

 

L’articolo è stato pubblicato nella rivista della CIA del Trentino, nel numero 6/2017

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