Imprese di comunità e beni comuni. Nel nuovo rapporto Euricse l’evoluzione del fenomeno

20 Maggio 2020
Presentata oggi la nuova indagine di Euricse “Imprese di comunità e beni comuni. Un fenomeno in evoluzione”. Nel report, oltre ad una quantificazione del fenomeno che ne ricostruisce la dimensione geografica, i principali settori di attività, i diversi modelli organizzativi adottati e le motivazioni della costituzione, vengono presentati 8 studi di caso regionali. Nelle indicazioni di policy conclusive emerge il potenziale contributo delle imprese di comunità come strumenti strategici per rispondere ai bisogni delle aree marginali del Paese e per rafforzare l’identità locale e la coesione sociale., Spunti rilevanti sulla funzione chiave che le imprese di comunità potranno ricoprire nel prossimo futuro, anche in ottica di ripartenza post-Covid 19

20 maggio 2020 – Le imprese di comunità sono imprese che producono beni e/o servizi in maniera stabile e continuativa, tra cui rientrano, ad esempio, anche quelli di interesse pubblico. Esse hanno un carattere cooperativo e si caratterizzano per il forte radicamento all’interno della propria comunità con l’obiettivo, attraverso le attività realizzate, di migliorarne le condizioni di vita e rispondere ai bisogni dei soggetti che la compongono. Ad oggi, sono 109 quelle individuate in Italia e presenti nel database che Euricse ha costruito e sta costantemente aggiornando. Realtà che si stanno diffondendo uniformemente nel territorio nazionale, con un’equa distribuzione tra il Nord (27%), il Centro (36%) e il Sud (37%).

“Le imprese di comunità – è il commento del ricercatore Euricse Jacopo Sforzi – possono avere un posto di rilievo nel dibattito attuale ed essere un valido strumento quando pensiamo a come far ripartire il Paese. Mai come oggi abbiamo bisogno di ripensare il modello di sviluppo italiano facendo leva sulle comunità locali. È fondamentale valorizzare le nuove forme di imprenditorialità che nascono grazie all’impegno e alle capacità di chi i luoghi li vive realmente.”

La ricerca – L’analisi, condotta dai ricercatori Jacopo Sforzi e Cristina Burini, punta a cogliere la rilevanza e le potenzialità delle imprese di comunità per lo sviluppo locale, partendo dalle specificità che distinguono queste forme di impresa. I dati sono stati raccolti tramite questionario (76 i questionari inviati, 48 restituiti). Gli otto casi studio invece sono stati realizzati tramite interviste semi-strutturate. L’indagine rivolge particolare attenzione ai processi generativi di questi modelli imprenditoriali, alla loro capacità di favorire e promuovere il protagonismo dei cittadini nella co-produzione e co-gestione di beni e servizi, alle ricadute delle loro attività e del loro modo di operare sulle condizioni economiche e sociali del territorio, sia esso urbano o rurale. Il rapporto è il proseguimento, del lavoro, ormai decennale, di Euricse sul tema (rif. Euricse, Libro Bianco sulla cooperazione di comunità, 2016; P.A. Mori e J. Sforzi, Imprese di comunità, Il Mulino, 2018).

Perché si costituiscono le imprese di comunità? Dai questionari emerge che le imprese di comunità sono state costituite principalmente per quattro ragioni: la necessità di ricostruire/rafforzare il tessuto sociale di un dato territorio (86,4%), il contrasto allo lo spopolamento (81%), la necessità di rispondere a bisogni specifici della popolazione (77,3%) e, infine, il desiderio di offrire servizi mancanti alla comunità (77%).

Settori di attività I settori interessati dall’attività delle imprese di comunità sono principalmente: turismo (41%), agricoltura (21%), servizi alla persona (14%), cultura (10%), ricreazione (8%) ed energia (5%). In generale le nuove imprese di comunità si contraddistinguono per il perseguimento dell’interesse generale di tutta la comunità, senza alcun tipo di distinzione o limitazione (sono multi-attoriali), attraverso la realizzazione e l’integrazione di molteplici attività differenti (sono multi-settoriali).

Il ruolo dei gruppi promotori e dell’ente pubblico Tra i fattori fondamentali e indispensabili che contribuiscono al processo generativo di un’impresa di comunità, uno dei principali è la presenza di un gruppo promotore. Dai dati emerge che il 74 % delle imprese di comunità nasce grazie ad un gruppo informale di individui con ideali comuni. Si osserva, poi, una buona presenza dell’ente locale nella fase iniziale di presentazione e promozione del progetto imprenditoriale, con un 46% di organizzazioni che dichiarano di averlo coinvolto fin dalle fasi iniziali. In questo senso, la maggior parte delle organizzazioni (58%) ha risposto che l’amministrazione locale ha sostenuto positivamente la nascita dell’impresa di comunità durante il suo processo di costituzione.

Forme giuridiche La diversità dei modelli di governance adottati fino ad oggi dalle imprese di comunità emerge chiaramente dalla ricerca. Su 109 imprese, la cooperativa di produzione e lavoro è la forma giuridica più diffusa (57 imprese), seguita dalla forma “altra cooperativa” (18 imprese) e dalla cooperativa sociale (14 imprese). Di queste ultime, 8 hanno optato per la cooperativa sociale mista; 4 sono cooperative sociali di tipo B (orientate quindi all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati) e 2 cooperative sociali di tipo A.

Casi studio – L’indagine si concentra su tre regioni, Toscana, Abruzzo e Campania, dove il processo generativo delle imprese di comunità è stato ampiamente sostenuto e accompagnato da enti pubblici o privati. Per la Regione Toscana: Compagnia Popolare del Teatro Povero di Monticchiello, Vivi Petroio, Parco Vivo, La Montagna Cortonese, Filo&Fibra. Per l’Abruzzo: la rete delle imprese di comunità Borghi In Rete. Per la Regione Campania: Piccoli Comuni del Welcome e Tralci di Vite. Infine, un approfondimento è dedicato al rapporto tra imprese di comunità e beni comuni grazie anche ad un caso studio umbro: Impresa Sociale Edicola 518 di Perugia.

All’evento di presentazione, trasmesso in diretta sulla pagina Facebook di Euricse, due i casi studio presentati nel report: Antonio Brizioli di Edicola 518 (Impresa sociale di comunità di Perugia) e Francesco Giangregorio della Cooperativa di Comunità Tralci di Vite (Chianche, provincia di Avellino).

“Gli studi di caso analizzati nel rapporto consentono di riflettere sull’importanza di valorizzare le forme di auto-organizzazione della comunità e al tempo stesso sul bisogno di promuovere una nuova cultura comunitaria dei territori”, sottolinea Cristina Burini, ricercatrice Euricse e dottoranda all’Università di Perugia. “Compito che potrebbe essere svolto non solo dal mondo cooperativo, ma anche da opportuni interventi pubblici.”

“Le cooperative di comunità rappresentano una forma inedita, anche nel campo della cooperazione, per dare valore alle ricchezze latenti di un territorio. Quelle che ho conosciuto, andando alla ricerca di un’Italia che non si rassegna e dal basso organizza forme di resistenza, hanno la capacità di saperle leggere e interpretare queste ricchezze per trovare soluzioni per sé, per il proprio lavoro e per il proprio futuro, e per arrecare benefici a una comunità che rischia di disperdersi e di svanire, a un territorio che rischia l’abbandono” – conclude il moderatore dell’evento Francesco Erbani, giornalista e autore del libro “L’Italia che non ci sta. Viaggio in un paese diverso”(Einaudi, 2019).


Il presente rapporto di ricerca si inserisce all’interno delle attività di studio in campo economico e sociale promosse da Euricse e rese possibili grazie al sostegno della Provincia Autonoma di Trento.

Il rapporto è disponibile qui.

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