Economia sociale e solidale: la risposta possibile alle sfide del lavoro

31 Maggio 2019

Il lavoro non c’è e anche quando c’è è sempre più precario, sottopagato e sotto-inquadrato. È lo scotto che pagano le economie moderne a seguito degli straordinari cambiamenti in atto. Una situazione causata non soltanto dalla crisi che per quasi un decennio ha influenzato gran parte dell’economia globale, ma anche da fattori strutturali come l’invecchiamento della popolazione, la globalizzazione e l’accelerazione dei processi di innovazione tecnologica. In questo contesto, si è fatta sempre più strada l’Economia Sociale e Solidale (ESS) definita dalle Nazioni Unite nel 2014 come un insieme di “organizzazioni e imprese strutturate specificamente allo scopo di produrre beni, servizi e conoscenza mentre perseguono fini sia economici che sociali, operando per promuovere la solidarietà”.

Un tema, questo, che Euricse ha affrontato nel 2017 elaborando per l’International Labour Organization il working paper “Social and Solidarity Economy and the Future of Work”. Documento che in occasione della 10° edizione dell’Academy organizzata da Itc-ILO a Torino, dal 3 al 7 giugno 2019, con la partnership di Euricse, è stato tradotto in Italiano.  “L’Economia Sociale e Solidale e il Futuro del Lavoro” – questo il titolo italiano dello studio firmato da Carlo Borzaga, Gianluca Salvatori e Riccardo Bodini – illustra le principali caratteristiche teoriche ed empiriche delle organizzazioni dell’ESS, riconoscendo in esse uno strumento dinamico e innovativo, particolarmente efficace per rispondere alle sfide poste dal nuovo mercato del lavoro, preservando l’occupazione nei settori tradizionali, favorendo la partecipazione delle donne e garantendo una qualità del lavoro più dignitosa.

Osserviamole quindi più da vicino.

Nonostante la loro grande diversità ed eterogeneità, le organizzazioni che operano nel campo dell’economia sociale e solidale condividono alcune caratteristiche chiave che le distinguono dalle imprese convenzionali. Anzitutto, sono spesso organizzazioni costruite dal basso che emergono all’interno di comunità locali in risposta a bisogni condivisi. Inoltre, sono caratterizzate da una significativa partecipazione di volontari che spesso giocano un ruolo importante nella fase iniziale di creazione dell’impresa. Terzo: le loro attività non sono principalmente dirette alla creazione di profitti da distribuire tra i proprietari, ma perseguono piuttosto gli interessi dei propri membri (come nel caso di organizzazioni mutualistiche quali le cooperative e le mutue) e della comunità in generale (come nel caso delle imprese sociali). Infine, tipicamente la loro struttura organizzativa assegna i diritti di proprietà a una varietà di portatori di interesse (o “stakeholder”), piuttosto che ai soli investitori (come nel caso delle imprese convenzionali). Di conseguenza, la struttura di governo dell’organizzazione tende a essere maggiormente inclusiva e democratica.

Guardando nello specifico al modello cooperativo, sono i numeri a confermarne la bontà.  In Italia, uno dei paesi che ha più sofferto la crisi economica, tra il 2007 e il 2015, il numero di dipendenti delle imprese convenzionali è diminuito di 688.000 unità (-6,3%). Nello stesso periodo, l’occupazione nelle cooperative è cresciuta del 17,7%, generando circa 170.000 nuovi posti di lavoro (fonte Istat-Euricse 2019). L’avanzamento si è avuto in particolare in alcuni settori come l’assistenza sanitaria e l’assistenza sociale essendo questi degli ambiti in cui le cooperative e le organizzazioni dell’ESS possono fare realmente la differenza nella qualità dell’occupazione. Queste realtà sono infatti più efficienti nell’identificare i bisogni emergenti e, non essendo guidate dalla logica del profitto, è più probabile che forniscano cure migliori e servizi di più alta qualità rispetto ad altri tipi di imprese. Non solo: i dati sulle cooperative italiane mostrano una maggiore qualità negli impieghi, sia in termini di retribuzione che di stabilità. Infine, essendo molto radicate nelle comunità locali, tendono meno a spostarsi in cerca di mercati più vantaggiosi.

Per tutte queste ragioni e alla luce del fatto che, come evidenziato dagli autori, le imprese orientate al profitto tenderanno sempre di più a comprimere il numero degli occupati, nei prossimi anni è lecito aspettarsi un’importante crescita del peso relativo dell’economia sociale e solidale in termini di qualità e quantità dell’occupazione complessiva. Crescita che dovrà essere sostenuta da adeguate politiche pubbliche nazionali e internazionali.

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