L’indice di sviluppo inclusivo: Capitale materiale, umano e naturale al posto del solo PIL

15 Febbraio 2013

COMUNICATO STAMPA

Trento, 15 febbraio 2013

L’indice di sviluppo inclusivo: capitale materiale, umano e naturaleal posto del solo prodotto interno lordo
I Punti della Lectio Magistralis di Sir Partha Dasgupta

Ha parlato ieri, 14 febbraio, a Trento Sir Partha Dasgupta docente dell’Università di Cambridge (UK) delineando le risposte alle domande: si possono sostituire gli attuali indicatori di sviluppo (Pil e le sue varianti) con misure più complete della vera ricchezza e dei livelli di benessere delle nazioni? La crisi può essere un’opportunità per trasformare l’economia globale in senso inclusivo e ambientalmente sostenibile?
Come Dasgupta ha sostenuto in numerose pubblicazioni, andare oltre il prodotto interno lordo è possibile e socialmente necessario: uno dei punti fondamentali consiste nel passare, appunto, dal Pil al prodotto interno netto e in questo passaggio tenere conto di molti più fattori di quanto non si faccia normalmente.
Il professor Dasgupta propone di considerare “l’indice di sviluppo inclusivo”, come misura della ricchezza di un Paese (National Wealth, dal titolo del suo articolo). Tale indicatore dovrebbe certamente considerare la ricchezza materiale della Nazione (infrastrutture, macchinari…), ma anche la ricchezza umana (salute, educazione…) e il capitale naturale (struttura degli ecosistemi, risorse naturali…). Alcuni di questi temi erano già stati affrontati dal professore nella sua partecipazione al Festival dell’Economia (Trento 2006).
È possibile superare il tradizionale indice del Prodotto Interno Lordo di un Paese e introdurre nuovi indicatori per misurare l’effettiva condizione della ricchezza di una nazione?
Certamente, è proprio ciò che viene fatto in numerose pubblicazioni: ed è questo il corretto tipo di indice.
Che tipo di benefici può portare questo nuovo indice per la popolazione e per le imprese?
Il punto è che l’idea di “Indice di Ricchezza Inclusiva” (Inclusive Wealth) è quella giusta perché tiene conto del benessere sociale dell’economia della Nazione considerata. Noi dovremmo studiare la Ricchezza delle Nazioni e non il PIL o l’Indice di sviluppo umano (HDI) delle Nazioni. Quegli indici ci dicono qualcosa ma non catturano l’effettivo benessere sociale. La ricchezza [L’Indice di Ricchezza Inclusiva ndt] lo fa.
L’Inclusive Wealth Report introduce l’Indice di Ricchezza Inclusiva. Quali indicatori sono contenuti in questo Indice?
Provi a chiedersi: cosa costituisce la ricchezza di una nazione? La risposta deve essere: l’insieme di tutte le risorse produttive. Quindi il concetto di ricchezza include il capitale produttivo, chiaramente, strade, edifici, macchinari, strumenti, eccetera, ma include anche il capitale umano: salute, educazione, e include anche il capitale naturale: natura, ecosistemi, risorse del sottosuolo, eccetera. È, pertanto, una nozione molto inclusiva. Dovremmo sempre chiederci: qual è la base produttiva di un’economia? Ciò darà la risposta.
Le cooperative sembrano avere già una particolare attenzione verso gli aspetti sociali e ambientali, un’attenzione che va oltre il PIL. È d’accordo?
Sì, sono molto d’accordo. Credo che il movimento cooperativo, nelle sue varie forme, abbia affrontato i problemi giusti ma bisogna ricordare che la misurazione (tramite indici, ndt) non è mai stato il problema fondamentale per le cooperative. Esse si sono interessate – e nel modo giusto, anche – al modo in cui il lavoro e il capitale si legano l’uno l’altro in un’impresa. Si tratta di una rottura importante con il capitalismo convenzionale. Nel farlo, il movimento cooperativo si è reso conto di quanto il capitale naturale sia un fattore estremamente importante nelle relazioni produttive. Quindi sì, questo è stato riconosciuto.
Ma l’intenzione del movimento non era di costruire un nuovo indice economico, ecco dove l’Indice di Ricchezza Inclusiva rappresenta un vantaggio ulteriore.
La crisi globale ha un aspetto diverso  vista attraverso la lente dei nuovi indicatori?
Non ne sono così sicuro perché la crisi globale è, si spera, un fenomeno a breve termine. Ora, con “breve” non intendo certo che è una cosa da poco, dura da cinque anni e solo il Signore sa quanto ci metteremo a uscirne. Ma quando pensiamo al capitale umano e sociale dobbiamo avere in mente una prospettiva di 30, 40 anni, anche 200 anni. Dal cambiamento del clima globale in poi l’orizzonte su cui pensiamo alle conseguenze di ciò che facciamo è stato spostato a due o trecento anni. C’è quindi una prospettiva temporale rispetto alla quale non posso davvero darvi una buona risposta su quale potrà essere l’impatto sulla crisi del prendere in considerazione gli indicatori dell’Indice di Ricchezza Inclusiva.
Secondo la sua esperienza e la sua opinione, l’introduzione di nuovi indicatori potrà cambiare la mappa geopolitica del mondo e se sì in che modo?
È un’ottima domanda e non posso dare una risposta altrettanto buona. Avrà due differenti effetti: uno nel caso in cui le nazioni giungano a un qualche tipo di accordo riguardo al problema delle risorse naturali, per esempio, o al clima globale, al carbonio nell’atmosfera o riguardo agli oceani o alle forme di vita in pericolo. In questo caso ci sarebbe un cambiamento nell’equilibrio del potere.
Ma se, dall’altra parte, non raggiungessero un accordo, ci sarebbe comunque un cambiamento nell’equilibrio del potere perché differenti Paesi verrebbero influenzati in modi diversi dai problemi derivanti dalle criticità riguardanti le risorse naturali. E alcuni Paesi sarebbero più disposti a fare qualcosa: per esempio, attualmente l’Occidente e l’UE sono molto più preoccupati per il cambiamento climatico di quanto non siano, ad esempio, India e Cina. Quindi se le cose andranno come al solito, ci sarà comunque un cambiamento nello schema geopolitico e credo che sarebbe anche interessante provare a mappare il modo in cui verranno affrontati i cambiamenti nei Paesi a seconda che prendano sul serio i problemi globali oppure no.
Concludiamo tornando alla crisi: la crisi può essere un’opportunità per trasformare l’economia globale in modo inclusivo e ambientalmente sostenibile?
Vorrei che la risposta fosse sì, purtroppo non credo che sia così. La crisi ha reso la gente particolarmente preoccupata verso le entrate lorde e, naturalmente, verso l’occupazione. Nell’articolo che ho presentato alla Conferenza di Venezia (Promoting The Understanding of Co-operatives for a Better World, ndt)  ho evidenziato il fatto che il capitalismo contemporaneo non riesce in realtà a recidere il collegamento tra occupazione e produzione [output]. L’occupazione è qualcosa cui teniamo molto, l’output – termine con cui intendo il Pil – dovrebbe importare meno. Ma la crisi al momento sembra concentrare l’attenzione esclusivamente sull’occupazione e di conseguenza sul Pil. La concentrazione su un solo aspetto del problema, il Pil, chiaramente relega la natura in un angolo. Insomma credo che l’attuale crisi sia una brutta notizia per varie ragioni, incluso il fatto che stiamo abbandonando il nostro interesse per l’ambiente.

Sir Partha Dasgupta

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Partha Dasgupta è professore di economia e in passato preside della Facoltà di economia e politica all’Università di Cambridge (Uk). Ha insegnato alla London School of Economics ed è stato direttore del programma in etica nelle società presso l’università di Stanford.

Dal 1998 al 2001 è stato presidente della Royal Economic Society e nel 1999 della European Economic Association. Nel 2002 è stato nominato cavaliere da sua maestà la regina Elisabetta II per il contributo all’economia. E’ consulente scientifico del “Wealth Report Inclusive 2012” e presidente del comitato scientifico dell’Human Dimensions Programme on Global Enviromental Change (IHDP).

Nel marzo 2012 ha dato il suo contributo nella Conferenza Internazionale organizzata da Euricse,  International cooperative Alliance e Alleanza delle Cooperative Italiane “Promoting the understanding of co-operatives for a better world”, dove è intervenuto sul tema del Capitale Sociale (qui una breve intervista).

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