L’innovazione aperta delle cooperative di comunità

25 Maggio 2016

La redazione del Libro Bianco “Le cooperative di comunità” ci ha obbligati a “ritessere le fila” di percorsi di ricerca svolti negli anni passati. Il compito di raccontare tutti i passaggi lo abbiamo affidato a Flaviano Zandonai, ricercatore e co-autore del volume.

Nonostante un numero crescente di ricercatori, policy maker, consulenti e progettisti tentino di catturarne il valore distintivo incasellandole in modelli organizzativi, forme giuridiche, politiche di sviluppo, le cooperative di comunità rimangono oggetti sfuggenti rispetto ai modelli classici della partecipazione sociale e dell’imprenditorialità, anche di quella cooperativa. Operano infatti lungo le “faglie” dove hanno preso forma le istituzioni moderne: tra produzione e consumo, tra mercato e dono, tra sfera pubblica e privata, tra lavoro volontario e retribuito, tra specializzazione settoriale e diversificazione, tra globale e locale.

Per essere affrontati questi temi necessitano di un nuovo approccio alla ricerca che si colloca nell’ambito del paradigma, oggi sempre più affermato, della open innovation. LeLibroBianco_copertina cooperative di comunità, forse più di altri fenomeni sociali e organizzativi analoghi, richiedono d’intraprendere percorsi di formazione e diffusione della conoscenza più aperti. Richiedono di coltivare in modo più sistematico la multidisciplinarietà nella definizione dei framework analitici e dei modelli interpretativi. Ma richiedono anche di lavorare “gomito a gomito” con coloro che quotidianamente gestiscono queste realtà e ne accompagnano l’emersione la crescita. Practitioners preziosi non solo in sede di “trasferimento tecnologico”, ma anche per elaborare una conoscenza di prima mano che alimenta le ipotesi di ricerca e la rilevazione sul campo. Si tratta infatti di indagini che richiedono una sensibilità particolare non solo per rilevare “dati oggettivi” di performance (economica o sociale che sia), ma soprattutto elementi di natura processuale dagli andamenti spesso “carsici” e dagli esiti non sempre prevedibili. Un metodo di ricerca che, prima di “somministrare” strumenti di rilevazione, necessita di saper accedere e di abitare quei contesti generativi in cui le imprese comunitarie prendono forma, pena il rischio di restituire un quadro frammentato in tante esperienze specifiche e residuali, non in grado di cogliere il potenziale di affermazione di un nuovo modello di gestione economica per la coproduzione di beni e servizi di interesse collettivo.

Impresa_sociale_di_comunità_copertina
La copertina del libro “Impresa sociale di comunità

Il nostro Libro bianco raccoglie questa sfida. Ci ha obbligati infatti a “ritessere le fila” di percorsi di ricerca svolti negli anni passati: le imprese sociali di comunità legate all’esperienza della cooperazione sociale, le cooperative di utenza per la gestione di servizi pubblici locali, l’imprenditorialità che scaturisce dalla rigenerazione di immobili per scopi sociali, l’innovazione dell’abitare basata sulla condivisione di beni, servizi e spazi comuni. Ci ha inoltre sollecitato a confrontarci con realtà caratterizzate da peculiarità accentuate (nella genesi, sviluppo, consolidamento) che sono state spesso veicolate, anzi narrate in prima persona, dalle persone che le gestiscono. E al tempo stesso ci ha spinto ad allargare il campo di osservazione, a tessere legami fra fenomenologie distanti eppure per certi versi simili: tra le “cooperative paese” delle aree interne e i community hub delle smart cities. Così facendo ci troviamo di fronte a esiti variegati e non del tutto prevedibili nei loro impatti: dagli elementi hard della normativa regionale allo sviluppo di un più ampio complesso di politiche che direttamente e indirettamente incidono sullo sviluppo delle cooperative di comunità, fino a intercettare gli approcci strategici e in senso lato culturali che riguardano i player tradizionali dell’economia. Le imprese cooperative che declinano in forme e modi diversi il principio identitario del “concern for community”, al nonprofit che sviluppa una nuova imprenditorialità legata non solo al tradizionale veicolo della cooperazione sociale, fino a casi di imprese di capitali che tentano di ridefinire la loro responsabilità sociale d’impresa stabilizzandola e rendendola più efficace. Anche la formazione contribuisce, da questo punto di vista, a questo percorso di innovazione aperta, considerando che nel giro di un biennio l’imprenditoria comunitaria è passata da una piccola “pillola formativa” nell’ambito di un corso sull’innovazione nell’imprenditoria sociale e cooperativa a un elemento chiave della nuova Scuola italiana beni comuni (Sibec) recentemente avviata in cooperazione con Labsus e l’Università di Trento.

Il Libro bianco quindi svolge un’importante funzione di crocevia per percorsi che hanno origine diversa ed esiti altrettanto differenziati. Una modalità attraverso cui capitalizzare in forma nuova quanto prodotto e, al tempo stesso, rilanciare nuove piste di ricerca basate sulla creazione di vere e proprie community di ricercatori, esperti sul campo designer delle politiche. Un metodo che ottimizza la “coda lunga” della produzione della conoscenza e che, ci auguriamo, consente di accelerare il percorso di affermazione di innovazioni sociali, salvaguardandole gli elementi costitutivi e al tempo stesso rafforzandole rispetto a una domanda di cambiamento che ormai si esprime in modo sempre più evidente.

 

Leggi anche:

Perché un Libro bianco sulle cooperative di comunità? di Jacopo Sforzi

Libro Bianco sulle cooperative di comunità. Un’anteprima.

Il progetto di ricerca “Imprese e cooperative sociali e di comunità”

x