Il ruolo della cooperazione agricola in chiave moderna

9 Marzo 2017

Una riflessione sui contesti marginali come quello trentino, oggetto di una ricerca di Euricse. La forma cooperativa ha garantito livelli di efficienza e qualità superiori a quelli ottenibili con qualsiasi altra modalità organizzativa.

Il Trentino è una terra con una lunga tradizione cooperativa. La forza di questo modello imprenditoriale assume dei connotati estremamente interessanti con riferimento al comparto agricolo. La cooperazione tra produttori agricoli ha consentito infatti ai contadini trentini di superare i limiti dimensionali della gran parte delle aziende, legati alla conformazione montana del territorio, attraverso l’aggregazione della produzione e l’ottenimento di economie di scala esterne alle singole aziende agricole.

In Trentino, infatti, la cooperazione agricola ha rappresentato lo strumento organizzativo/istituzionale che nel secondo dopoguerra ha guidato il passaggio da un modello di agricoltura policolturale di autosussistenza a uno sempre più orientato al mercato e alla specializzazione produttiva. In particolare, il piano di sviluppo delle cooperative agricole, guidato e supportato dalla Federazione e dalla Provincia di Trento, si è prefissato di razionalizzare e coordinare i settori maggiormente promettenti come quello vitivinicolo, ortofrutticolo e lattiero-caseario. Nello specifico, la ricerca delle condizioni per recuperare redditività a beneficio dei contadini ha avviato un processo di espansione e potenziamento della gestione collettiva delle fasi di lavorazione, conservazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, a cui è corrisposto un notevole impegno finanziario a sostegno degli ingenti investimenti in nuovi impianti e macchinari.

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Eddi Fontanari

In realtà, però, l’aspetto più importante di questo processo è stato l’aver posto le basi per la costruzione di un’architettura istituzionale che ha permesso di istituire, attraverso la forma della cooperativa agricola, dei veri e propri sistemi produttivi locali. Tale assetto ha consentito ai contadini trentini, attraverso il progressivo controllo e presidio della filiera agroalimentare, di assicurarsi delle rese accettabili rendendo dunque economicamente sostenibile la loro attività. In particolare, questo disegno istituzionale ha consentito di superare lo svantaggio competitivo derivante dall’elevata frammentazione dei fondi agrari e dai gravosi costi di produzione mediante la creazione di una rete di micro unità produttive indipendenti specializzate nell’attività agricola che hanno fondato la loro competitività sulle conoscenze, competenze e figure professionali sviluppate dalla cooperativa, direttamente o attraverso altri enti specializzati (Università, Istituti agrari, ecc.), che si sono alimentate costantemente della rete di rapporti personali, e dunque dello scambio di conoscenza (o pratiche innovative), con e tra i contadini-soci, trovando nella cooperativa la loro sintesi.

Nelle aree marginali

Data la crescente complessità dei mercati, il vero punto di forza del modello della cooperazione agricola si ritrova quindi, più in generale, nell’opera di decodificazione e di sintesi delle informazioni sparse nella supply chain e dunque nell’agevolazione del processo di apprendimento e di innovazione nella filiera agroalimentare (con dei risvolti positivi per i consumatori, che vedono soddisfatte le loro richieste). In particolare, l’abilità specifica a tale ‘formula organizzativa’ è di sviluppare e sedimentare conoscenza in lavoratori-proprietari stabili, favorendo un incremento dell’efficienza e della produttività del lavoro in campagna, anche – come risulta evidente nel caso del Trentino – tra i cosiddetti part-timer. Da questo punto di vista, la cooperativa rappresenta perciò la memoria storica del sistema produttivo locale (incubatore e diffusore) e il facilitatore della produzione di risorse specifiche non trasferibili all’esterno, in quanto costruite sull’interazione tra gli attori locali.

Il caso della provincia di Trento risulta estremamente esemplificativo di questo particolare ruolo della cooperazione agricola e dimostra le capacità di espansione e consolidamento del modello cooperativo in condizioni di elevata frammentazione dei fondi agrari e di costi di produzione particolarmente significativi. In Trentino, infatti, la cooperativa agricola ha rappresentato uno strumento estremamente efficace nella rivitalizzazione di aree altrimenti destinate all’abbandono. Il ruolo della cooperazione agricola va perciò interpretato andando oltre la classica (negativa) giustificazione di risoluzione di fallimenti del mercato tra produttori di input e agricoltori o tra questi e gli acquirenti dei loro prodotti, che le attribuisce solitamente solo una funzione residuale (marginale).

Nello specifico, la lettura del caso trentino restituisce diversamente un’accezione positiva del fenomeno nel senso che la forma cooperativa ha consentito di ottenere livelli di efficienza e di qualità ( e relativi rendimenti) superiori a quelli ottenibili con qualsiasi altra modalità organizzativa. A tal proposito, la cooperazione si è dimostrata un vero punto di forza nella costruzione e nella definizione di veri e propri distretti agricoli ad elevata vocazione territoriale. La cooperativa agricola sembra infatti aver svolto e continua a svolgere per l’agricoltura trentina un prezioso ruolo di costruttore di capability di sistema, primariamente, attraverso la definizione di un insieme di regole e di routine organizzative necessarie a raggiungere un adeguato livello di coordinamento e di integrazione di attività e dunque di competenze rilevanti per la pratica agricola. L’importanza delle cooperative agricole risiede allora nella loro capacità di costruire un contesto (comunità) sociale in quanto organizzazioni di senso. Esse sono infatti idonee a sviluppare identità appoggiandosi ai valori e ai principi cooperativi e definendo un insieme di principi organizzativi di ordine superiore che permettono di creare interdipendenze e interazioni virtuose tra pratiche (contadini, agronomi, commerciali, ecc.).

L’investimento nella qualità

Nei contesti montani come quello trentino, le aziende agricole sono obbligate ad offrire produzioni caratterizzate da standard qualitativi molto elevati. Tale imposizione deriva dai più alti costi di produzione, a cui si associano le ridotte dimensioni dei fondi agrari (e dunque frequentemente anche la natura part-time dei contadini). La ricerca del riconoscimento del più elevato prezzo possibile dal mercato diventa quindi un prerequisito imprescindibile. La resa per ettaro delle produzioni montane deve necessariamente essere superiore a quella delle altre zone produttive con caratteristiche morfologiche più favorevoli. Di conseguenza, l’investimento nella qualità della produzione diventa condizione sine qua non per rendere competitive anche (e in particolar modo) le aree strutturalmente svantaggiate e a rischio abbandono. L’investimento in qualità richiede però un forte investimento nell’aggiornamento della conoscenza di base e nella continua produzione di nuova conoscenza e innovazione e soprattutto nella loro diffusione.

Dati la complessità dei mercati e lo stretto legame tra qualità del prodotto e prezzo finale, risulta perciò di vitale importanza la funzione svolta da un’istituzione intermedia come la cooperativa agricola. Il vantaggio competitivo delle aziende agricole trentine è stato costruito e perseguito proprio in questo modo, ovvero attraverso la valorizzazione delle distintività locali, trasmesse in seguito al consumatore mediante l’elaborazione e l’introduzione di veri e propri brand territoriali. In questo scenario, ha assunto una certa rilevanza l’adozione di sistemi di controllo e certificazione della qualità e di disciplinari di produzione. Tutti elementi fondanti i sistemi produttivi locali.

L’articolo di Eddi Fontanari è stato pubblicato sul mensile “Cooperazione Trentina“, numero di marzo 2017.

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