Fatta la riforma, rilanciamo il terzo settore

10 Gennaio 2017

Flaviano Zandonai (Euricse, Iris Network)

A fronte di una definizione di ordine generale, la legge contribuisce comunque a definire e cogliere le diverse “anime” del terzo settore affinché possa svolgere in modo ancora più efficace le tre macro funzioni che storicamente lo contraddistinguono ovvero: tutela e rappresentanza dei diritti (advocacy), produzione di beni e servizi, erogazione di risorse a supporto di attività di interesse sociale. In tal senso si possono evidenziare, come particolarmente rilevanti, le seguenti disposizioni.

L’agenda delle riforme istituzionali non è fatta solo di interventi sulla struttura e le articolazioni dello Stato, ma chiama in causa anche altre forme giuridiche e organizzative come quelle del terzo settore. Fino a qualche mese fa si trattava di un concetto definito a livello sociologico ed economico, mentre la legislazione procedeva “a canne d’organo” normando cioè i singoli attori che ne fanno parte: associazioni (nelle loro varie declinazioni), organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, fondazioni, comitati. Ma nel maggio scorso è stata approvata la legge n. 106/2016 che regola, per l’appunto, il terzo settore inteso anche giuridicamente come un corpus unitario e, al suo interno, due ulteriori strumenti. Il primo è l’impresa sociale, quello che potremmo definire il “veicolo imprenditoriale” del terzo settore, mentre il secondo è il servizio civile universale, ovvero una disposizione che, per molte organizzazioni sociali, rappresenta una modalità molto importante per coinvolgere la popolazione giovanile all’interno di progetti che, in vario modo, si definiscono di pubblica utilità.

Trattandosi di una norma appena approvata è difficile, in questa fase, definire il possibile impatto che potrà esercitare su un settore che, nel suo insieme, è composto da organizzazioni non solo di diversa forma giuridica, ma di altrettanto varie caratteristiche dimensionali, settoriali ed anagrafiche: di nuova generazione e consolidate, di grandi e di piccolissime dimensioni, impegnate in molteplici settori (dai servizi sociali, alla produzione culturale, dalla tutela ambientale alle attività educative), operative in contesti urbani e nelle “aree interne”. Questa incertezza applicativa legata al carattere recente della norma e alle caratteristiche costitutive del settore è ulteriormente enfatizzata dal fatto che si tratta di una legge delega che impegna il governo ad emanare decreti applicativi su materie di particolare rilevanza che potranno contribuire a delineare in modo molto più circostanziato l’identikit del terzo settore. I decreti infatti saranno chiamati, in primo luogo, a costruire un “codice del terzo settore” agendo così alla radice del codice civile italiano che fin qui è impostato in senso “manicheo”: riconosce infatti alle istituzioni pubbliche il compito di perseguire obiettivi di interesse collettivo e a quelle private di perseguire gli interessi individuali di coloro che ne detengono i diritti di proprietà. Tertium non datur, come dicevano gli antichi, almeno fino all’approvazione di questa norma che, all’articolo 1, riconosce invece l’esistenza di “un complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in  attuazione del principio di  sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività d’interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”.

Flaviano Zandonai, Euricse e Iris Network
Flaviano Zandonai, Euricse e Iris Network

A fronte di una definizione di ordine generale, la legge contribuisce comunque a definire e cogliere le diverse “anime” del terzo settore affinché possa svolgere in modo ancora più efficace le tre macro funzioni che storicamente lo contraddistinguono ovvero: tutela e rappresentanza dei diritti (advocacy), produzione di beni e servizi, erogazione di risorse a supporto di attività di interesse sociale. In tal senso si possono evidenziare, come particolarmente rilevanti, le seguenti disposizioni.

In primo luogo una maggiore attenzione alle modalità di riconoscimento della personalità giuridica dei soggetti associativi, semplificando gli adempimenti in modo da favorire una maggiore visibilità e controllo di statuti e assetti di governance, anche al fine di evitare (o almeno limitare) forme di utilizzo elusivo di questa formula, in particolare quando si tratta di gestire attività di natura economica.

In secondo luogo la norma introduce il tema della misurazione d’impatto sociale come criterio guida per la regolazione dei rapporti tra i soggetti di terzo settore e i suoi principali interlocutori, in particolare la Pubblica Amministrazione. Si tratta di una novità sostanziale che sarà oggetto di un decreto ad hoc contenente linee guida grazie alle quali poter valutare in senso quantitativo e qualitativo e sul breve, medio e lungo periodo “gli effetti delle attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all’obiettivo individuato”.

In terzo luogo, e come già ricordato in apertura, la riforma si concentra anche sull’impresa sociale, ovvero sul soggetto debutato a esercitare la funzione di carattere produttivo. Si tratta, in realtà, di una “riforma della riforma”, perché interviene a correggere alcune delle disposizioni sulla stessa materia contenute nella legge n. 118/2005 e nei successivi decreti (tra il quale il dlgs n. 155/2006). Rispetto all’assetto precedente la nuova impresa sociale rimane una qualifica applicabile a tutte le forme giuridiche privatistiche riconosciute nel codice civile (quindi di origine nonprofit ma anche commerciale) a patto di assumere alcune caratteristiche specifiche:

  • adottare una mission coerente con le finalità dei soggetti di terzo settore (interesse generale, come nella precedente normativa, ma anche più marcatamente solidaristiche);
  • operare in alcuni settori di attività che ora verranno ridefiniti – probabilmente allargandoli rispetto a quelli già indicati – grazie a un decreto governativo e confermando quindi una tendenza all’allargamento degli ambiti di azione oltre alle nicchie ben conosciute dei servizi socio assistenziali e l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati;
  • coinvolgimento dei portatori di interesse (in particolare lavoratori e beneficiari delle attività);
  • obbligo di redarre e depositare, oltre a quello economico, anche il bilancio sociale;
  • destinazione degli utili in via prevalente al conseguimento dell’oggetto sociale e quindi possibilità di distribuirne una parte (in quota non superiore al “cap” previsto per le cooperative a mutualità prevalente) a coloro che la partecipano e per remunerare l’eventuale capitale investito; una novità, quest’ultima, particolarmente attesa da coloro che auspicavano l’avvento di una impresa sociale “low profit” in grado cioè di intercettare meglio risorse di finanza “a impatto sociale”, mentre invece nella legge precedente era fatto divieto assoluto di redistribuire tutti gli utili generati, anche indirettamente.

Infine la riforma delinea alcune misure fiscali e di sostegno economico. Oltre ad un’operazione delegata ai decreti attuativi di riordino complessivo di una materia oggettivamente complessa perché legata alle peculiarità di un settore cresciuto attraverso percorsi diversi anche dal punto di vista del trattamento fiscale e degli incentivi, sono previste alcune disposizioni “di sistema”. La prima riguarda la stabilizzazione dello strumento del “cinque per mille” che consente di versare una quota parte della tassazione anche a favore di soggetti di terzo settore. La seconda riguarda la creazione di un fondo presso il ministero del lavoro e delle politiche sociali dedicato a sostenere progetti di interesse sociale da parte di organismi di terzo settore. La terza misura – che forse rappresenta la maggiore novità in questo campo – riguarda la creazione della “Fondazione Italia Sociale”, una società veicolo creata ex novo per “la realizzazione e lo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti del terzo settore, caratterizzati dalla produzione di beni e servizi con un elevato impatto sociale e occupazionale e rivolti, in particolare, ai territori e ai soggetti maggiormente svantaggiati”. La fondazione è stata costituita con un capitale di partenza pubblico pari a 1 milione di euro, ma l’intento è di intercettare un più cospicuo ammontare di risorse private destinate a questa finalità da parte di donatori e “investitori pazienti”. Ultima disposizione di natura non economica, ma comunque di rilievo consiste nella possibilità di assegnare a soggetti di terzo settore immobili pubblici inutilizzati, nonché beni confiscati alla criminalità organizzata, anche al fine di valorizzare in modo adeguato i beni culturali e ambientali. Una dimostrazione di come il terzo settore sia in gradobaloon di agire anche come una vera e propria “industry” della rigenerazione edilizia da destinare a scopi di pubblica utilità.

Per concludere se è vero che la decretazione del governo contribuirà a completare parti importanti della riforma, ma già ora si profila una sfida rilevante che riguarda il terzo settore. Un ambito che, negli ultimi anni, ha manifestato una certa difficoltà nel proporsi come vero e proprio “corpo sociale” differenziato al suo interno ma coeso rispetto alla propria missione e identità. Ora è una vera e propria componente istituzionale della società, accanto alle imprese e alla pubblica amministrazione. Finisce quindi un percorso istituente durato più di tre decenni che ora, tra le varie novità, si trova ad operare avendo il pieno controllo di una notevole leva imprenditoriale – l’impresa sociale – generatrice non solo di valore sociale, ma anche di economia e occupazione. Sarà quindi interessante verificare, nel breve/medio periodo, gli effetti della riforma sulla conformazione del terzo settore. Il suo sviluppo imprenditoriale ad esempio, visto che recenti indagini della rete Iris Network hanno identificato in oltre 60mila soggetti non lucrativi diversi dalle cooperative sociali – ovvero la forma fin qui più diffusa di impresa nonprofit – che sono market oriented e quindi, in nuce, sono imprese sociali di nuova generazione.

Al tempo stesso sarà interessante verificare se e come l’impresa sociale si riposizionerà nel terzo settore, non tanto nelle istituzioni che lo rappresentano, ma nei processi socio-economici che questo comparto promuove e gestisce. “Solidarietà sociale”, “coesione sociale”, “cittadinanza attiva” non sono certo principi estranei al mondo dell’imprenditoria sociale, ma si tratterà di capire come verranno perseguiti attraverso modelli che recuperano legami con l’azione volontaria e la partecipazione civica tipica degli altri soggetti di terzo settore. Un legame che in origine era costitutivo, ma che nel corso del tempo si è in parte allentato, seguendo percorsi d’impresa dove questi stessi principi sono stati sempre più spesso fortemente incorporati all’interno di mercati e filiere mainstream: agricoltura, artigianato, ecc.

 

L’articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista “Economia Trentina” edita dalla Camera di commercio di Trento.

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